#Lapiziaween: Le strade del male - Recensione

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venerdì 30 ottobre 2020

#Lapiziaween: Le strade del male - Recensione

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Siamo giunti al nostro terzo appuntamento pre-halloween e come avete letto dal titolo siamo qui per parlare di The Devil all the Time – Le strade del male. Un film disponibile sulla piattaforma di Netflix che ha riscosso un discreto successo sicuramente grazie alla composizione del suo cast: Tom Holland, Sebastian Stan e Robert Pattinson, sicuramente, sono in grado di attirare una grande fetta di pubblico. 
Visto che anche questo film è già uscito da un mesetto, vi avviso che ne approfitterò per cercare di scendere nei dettagli, quindi ci saranno gli spoiler.

The devil all the time – Le strade del male mostra il modo beffardo con cui il destino, o il fato, o addirittura la provvidenza, chiamatela come volete, si mette a giocare con la vita delle persone. 
La narrazione si apre mostrando l’episodio che ha profondamente marcato la psiche di Willard, un soldato americano impiegato nella guerra seconda guerra mondiale nella zona del Pacifico sud-occidentale. Nel 1945, infatti, il giovane soldato rimase profondamente turbato dalla visione di un commilitone alla quale è costretto a dare il colpo di grazia perché è stato crocifisso dai giapponesi. 
Tornato in Ohio, il destino inizia i suoi scambi e i suoi giochi. Willard, infatti, si innamora immediatamente della cameriera di turno in quell’istante, ma contemporaneamente, grazie a uno scambio di posti anche due futuri serial killer trovano la loro strada. 
Una volta tornato nella casa materna, a Coal River, la madre vorrebbe che lui sposasse Helen, una giovane donna rimasta orfana; per poter ripagare il voto ella aveva volto a Dio: la vita di Willard in cambio del suo matrimonio con la ragazza. Ma anche in questo caso il fato compie il suo dovere, qualche anno dopo, Helen sposerà il pastore della loro comunità segnando il suo destino. 

Il soldato, sposatosi con la cameriera, mette al mondo Arvin (Tom Holland per l’appunto). Mentre Helen e il predicatore danno alla luce Leonor. Per le vicende che coinvolgeranno i due giovani ragazzi, essi si troveranno a vivere sotto il tetto della casa della nonna e dello zio di Arvin. Infatti Arvin e Leonor sono rimasti entrambi orfani. 
Arriviamo, dunque, al 1965 anno nella quale, ormai adolescenti, Leonor e Arvin devono venire a patti con i demoni dalla quale sono nati e quelli che successivamente incontreranno nel loro cammino. 

Non vi voglio raccontare oltre della trama, perché proprio da ciò che vediamo fin dai primi minuti del film, si nota, come il destino di tutti i protagonisti sia destinato a convergere in un unico punto. 
Il che è proprio il significato intrinseco che si può trovare nel titolo del film. In inglese, infatti, the devil all the time può esser letto come un elemento di costanza. Appunto letteralmente il diavolo per tutto il tempo, segnando come molto spesso le azioni mosse in nome di una cieca fede, in realtà nascondono la mano del male. Le strade che convergono in un unico percorso, come nel detto “tutte le strade portano a Roma”. 

Proprio questo può essere considerato il nodo centrale sulla quale la narrazione si muove: la fede. Tanto folle e tanto cieca da spingere gli uomini a commettere gli atti più assurdi. 
Willard, il soldato, il padre di Arvin, per amore della moglie, segnato dagli orrori vissuti in guerra; si rifugia in questo suo profondo credo. Si fa predicatore di una fede che cerca di infondere nel figlio, si fa messia di un sacrificio tanto assurdo quanto la stessa crudeltà che in guerra lo aveva segnato. 
Il predicatore che Helen ha sposato, il padre di Lenora, sacrifica la moglie perché convinto di svolgere il volere del suo signore. Dopo essersi chiuso per 14 giorni in uno stanzino il suo stato mentale era così precario da essersi convinto di sentire, effettivamente, la voce del volere divino. Lui che sarà anche tra le prime vittime di quei due serial killer che Willard aveva incrociato al bar in cui aveva incontrato la moglie. Due serial killer, Sandy e Carl, che si muovono sulle corde della perversione e del morboso. I due, infatti, avevano assunto l’abitudine di attirare in auto gli autostoppisti per poi spingerli a commettere atti sessuali, prima di esser uccisi e fatti a pezzi. Il tutto veniva documentato da Carl attraverso l’obiettivo della macchina fotografica. Carl, come dice il narratore, solo attraverso la morte che procura ai suoi modelli riesce e percepire la presenza di Dio. 

Lenora si porta dentro il dolore della perdita dei propri genitori, ma reagisce in modo totalmente diverso rispetto ad Arvin. Il ragazzo, infatti, ricorda cosa il padre aveva fatto; ricorda il modo con cui aveva sacrificato il cane che tanto amava in nome di una preghiera rivolta a un Dio che aveva voltato loro le spalle. Ricorda come il padre, dopo la morte per cancro della moglie, si è sacrificato su quello che era diventato il suo altare. Il ceppo della preghiera davanti la quale costringeva il bambino a pregare, sulla quale aveva crocifisso il sacrificio che aveva deciso di commettere. 

Lenora si continua ad affidare a Dio, alla speranza, a quell’amore perduto nella quale cerca il conforto. Finendo, così, col cedere, davanti alle promesse che il nuovo predicatore fa. Infatti, nel 1965, in città, arriva un nuovo predicatore, interpretato da Robert Pattinson. Un bravissimo affabulatore che ha studiato teologia solo per poter cercare di ottenere ciò che più desiderava. La perversione, infatti, si muove tra i bambi di quella chiesa. E lui propina l’amore del suo Dio attraverso il desiderio che possiede. Lenora diviene vittima di quella affabulazione, un po’ come la madre lo era stata quando aveva scelto l’uomo da sposare, pagandone le conseguenze con la propria vita. Proprio attraverso Lenora è possibile notare il modo con cui il fato riesce a giocare con gli uomini. Ma è un fato malevolo, un fato diabolico, che da il via ancora una volta alla disfatta alla vita dei personaggi che si muovono in scena. 

Se, dunque, il destino sembri governato dal male e dal peccato; Arvin invece sembra quasi essere la mano destra di Dio. Un angelo vendicatore arrivato sulla terra per poter fare ciò che andava fatto. Il necessario per poter chiudere il cerchio e per poter salvare ciò che gli era rimasto. 

Davvero non vorrei dire oltre su quelle che sono le dinamiche della pellicola, anche perché il tutto è tanto intrecciato che raccontarlo non avrebbe lo stesso senso. Voglio però porre l’attenzione su questi particolari e sul modo con cui le dinamiche si innescano. Il modo con cui molto spesso la religione possa essere rappresentata come l’elemento in grado di annichilire la ragione umano, riconducendo l’uomo a una forma di irrazionalità. Il modo con cui il male si riesce ad annidare nelle debolezze e soprattutto il modo con cui il salvifico a volte non è effettivamente visibile o a volte non è convenzionale. 

Ma Arvin, come viene poi messo in luce dal narratore mentre ci avviamo verso la conclusione del film, è destinato alla stessa vita che aveva avuto il padre. La strada è stata spianata da quei colpi di pistola facilmente paragonabili a quel colpo di grazia con la quale il film si apre. 

Vi è ciclicità in questa pellicola, perché effettivamente da una fine si è segnato un nuovo inizio. 

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