Le mie avventure legate al mondo del cinema
e della televisione sono tutte impresse nella mia mente, in modo quasi
indelebile. Ci sono istanti precisi associati a emozioni talmente tanto intense
da non poter essere narrate, che però possono essere rievocate alle scene dei
film che le hanno accompagnate, componendo una lenta trama che ormai dura 24
anni.
Ricordo quasi tutte le mie prime volte connesse
ai film, o sicuramente le mie prime volte in cui ho iniziato a capire cosa
fosse questo mondo.
La prima volta in cui piansi, ad esempio,
abbracciata a mio padre nel vedere che fine facesse Lemon Novecento; oppure
quella volta in cui risi così tanto davanti ad un Mushu indignato. Personaggi e
istanti così preziosi da spingermi a credere che siano i tasselli che
compongono la mia vita.
Io parlo attraverso i film perchè loro
hanno parlato con me. Merito del mio DNA, che credete?! Tutto merito di quella
composizione chimica che sembra spingere almeno un componente per generazione,
nella mia famiglia, verso una carriera collaterale a questo mondo. Di aneddoti
in grado di testimoniare ciò ne conosco a bizzeffe, e non basterebbe neanche
tutta la vostra pazienza per poterli leggere tutti insieme, ma almeno oggi vi
voglio raccontare la mia prima volta in cui venni pagata per un film.
Avevo più o meno 15 anni,
piena fase di ribellione adolescenziale. I momenti in cui pensavo che mio padre
non capisse niente si alternavano a quelli in cui era tutto il mio mondo con
fin troppa frequenza. Per la cronaca, adesso prevale la seconda. E quello di
cui vi sto parlando era uno di quelli che appartengono al primo caso. Come
potete ben immaginare, la prima volta in cui venni pagata per vedere un film,
fu mio padre a farlo.
Come stavo dicendo, lui per
me non capiva niente e di conseguenza era facile pensare che il film che stesse
per iniziare alla tv non fosse altro che un inutile fiasco. Un musical, ma a me
piacevano già i musical! Avevo già visto almeno cinque volte “Nine”, e lo
stesso discorso valeva moltiplicato per due se prendevamo in esame High School
Musical. Si, ai fin dei conti possiamo dire che quella che non capiva niente
ero semplicemente io (ma vi svelo un segreto: sono pochi i 15enni che capiscono
realmente qualcosa).
‘Un
musical, quindi? Sugli anni 70? Sulla guerra del Vietnam e i figli dei fiori?
Oh andiamo papà, davvero non hai idea di chi tu abbia davanti?’
Oh, ma eccome se mi
conosceva. Mi conosceva meglio di quanto io stessa ancora oggi non mi conosca.
E in fondo credo che lui si aspettasse persino la mia risposta. Del resto quale
adolescente avrebbe mai ammesso che suo padre avesse ragione, se posta davanti
alle mie stesse condizioni?
Hair così iniziò e io venni trascinata sulle
meravigliose note di Aquarious,
coinvolta dalla sua storia restando, poi, colpita dalla sua fine. Entrò, con la
facilità di uno schiocco di dita (e questa è una citazione) a pieno diritto
nella lista dei miei film preferiti.
Sotto l’urlo del “Let The Sunshine In” mi alzai dopo i
titoli di coda sprezzante e incurante di tutto e tutti. Lo spazio tra divano e
tavolo, all’interno della mia cucina, divenne quello stretto corridoio da film
western e, dopo aver intascato i miei immeritatissimi cinque euro, guardai mio
padre negli occhi pronta a congedarmi. Memore della sua proposta «mettiti seduta qui, guarda il film e ti
darò cinque euro», sottolineai quanto non volessi dargliela vinta. Una
semplice frase fu quella che pronunciai, e fu capace di contenere tutto il mio
gelido apprezzamento «tanto lo avrei visto
comunque». Un ghigno, simbolo della mia soddisfazione si era ormai formato
sul mio volto, mentre giravo i tacchi e pensavo a quale assurda leccornia mi
sarei potuta permettere con il mio bottino.
Fu allora che una tessera
del mio puzzle trovò il proprio posto; piccola, non era realmente neanche la
prima, ma come le altre fu fondamentale. Quei primi cinque euro, visti con il
senno del poi, non fanno altro che ricordarmi quanto fosse stata bella la
sensazione di poter pensare ‘ehi, ma ho
guadagnato guardando qualcosa che mi è piaciuto, forse potrei farlo anche un
domani!’. Del resto di gente che lo fa ce n’è… perché non provare a
studiare per poter cercare di parlare della mia più grande passione?
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