#Lapiziaween: Le strade del male - Recensione

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venerdì 3 gennaio 2020

Recensione: "The Farewell - Una bugia buona"


“The Farewell - Una bugia buona” è un film diretto dalla regista cinese, naturalizzata statunitense Lulu Wang. Presentato al Sundance Film Festival e alla Festa del cinema di Roma del 2019 ha fin da subito riscontrato un notevole favore da parte della critica. Una commedia drammatica che con il suo ritmo riesce a emozionare immediatamente il suo pubblico, colpendolo dritto in faccia con il suo dilemma morale: può una bugia essere la cosa migliore?


La storia inizia trasportandoci nella vita di Billi, interpretata dall’attrice e cantante americana Awkwafina, una giovane donna con aspirazioni artistiche che ha reso l’arte dell’arrangiarsi la sua arma migliore per poter sbarcare il lunario. La giovane donna, dopo una cena a casa con i suoi genitori, scopre che a sua nonna è stato un tumore incurabile in fase molto avanzata; decide, così, di partire per la Cina, nazione d’origine della sua famiglia, per poter prendere parte alla bugia che è stata raccontata alla nonna. Infatti, seguendo quella che è una leggenda cinese, la famiglia dell’anziana decide di non raccontare nulla alla donna del proprio stato di salute, mentendole sulla reale gravità dei fatti, e per giustificare la propria presenza i parenti decidono di far sposare uno dei cugini di Billi con la sua ragazza giapponese, così che la motivazione possa essere un matrimonio e non un addio. La maggior parte della comicità del film, infatti, sarà proprio incentrata su questa coppia di sposini. 
Le difficoltà di comunicazione dei due giovani con gli anziani, entrambi conoscono meglio il giapponese, o la scarsa importanza che viene data loro rende paradossale il rapporto tra i vari componenti della famiglia.

La vicenda da cui è tratto il film era stata già raccontata dalla regista nel 2016 durante un’intervista. Ha, infatti, raccontato che l’ispirazione giungesse proprio dall'aggravarsi della malattia di cui era affetta sua nonna. Ispirato dunque da una bugia vera, per tutto il film intercorre l'idea di quanto usuale sia l'omissione delle verità per i pazienti malati di tumore; così da evitare che la paura della malattia spinga al lasciarsi andare. 

La profonda attenzione ai particolari di questa storia, da parte della regista, permette allo spettatore di assaporare fino in fondo il dissidio che caratterizza la protagonista, soprattutto per quanto riguarda lo scontro tra le tradizioni della famiglia di origine e quelle occidentali americane che le appartengono. Tradizioni che si concretizzano con la bugia  buona e che sono difficili da accettare, tanto che costituiscono il reale dubbio della protagonista, ma che lentamente entrano a far parte comunque di lei nel suo processo di accettazione.
Fotografia e luci rendono quasi eteree le scene. La notte, in particolare, grazie l’uso dei led esterni delle insegne della città, rende soffusi alcuni istanti, in particolare quelli in cui Billi nutre forti dubbi sui risvolti positivi della bugia. Sembra quasi che la regista subisca l’influenza del suo compagno Barry Jenkins (regista di Moonlight). La notte così si colora di giallo, rosso e blu; luci che si sposano divinamente con le espressioni di Awkwafina, candidata al globe come miglior attrice protagonista proprio per questa performance. Nonostante non sia la canonica bellezza hollywoodiana, i suoi tratti orientali riescono a bucare lo schermo spingendo lo spettatore ad entrare in empatia con le emozioni introspettive di Billi.
Il gioco che molte inquadrature creano decentrando la figura principale dal fuoco della camera rende il tutto ancora più intenso e in grado di giocare con l’attenzione dello spettatore. Il tutto viene evidenziato nelle scene in cui appaiono i due sposini. La coppia, come già detto, costituisce la vera comicità della storia anche e sopratutto nel vedere quando sia marginale la loro volontà o il loro matrimonio. Nai nai, la nonna, è sempre centrale nella lente della macchina da presa; mentre i due ragazzi sono molto spesso fuori fuoco, evidenziando così l'importanza che la protagonista stessa da ai propri familiari. 

In sostanza si è davanti a un film che separa il pubblico a metà, ma che lo lascia con il sorriso sulle labbra e una profonda riflessione da fare lasciata la sala. Non vi è una reale risposta al “se sia corretto mentire per preservare una persona”, ci sono solo le speranze e l’unione dei cari che hanno deciso di intraprendere quella strada.

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