#Lapiziaween: Le strade del male - Recensione

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lunedì 23 marzo 2020

#Netflix: Il Buco, il purgatorio di Dante prende vita


Se siete deboli di stomaco evitate come la peste il film approdato su Netflix lo scorso 21 febbraio. “Il Buco”, infatti, è una di quelle pellicole fatte per chi nel grottesco naviga da un po’. Presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival il 6 settembre 2019, rappresenta l’esordio per il regista Galder Gaztelu-Urrutia.


Goreng (Ivan Massagué) si risveglia all’interno del livello 48 di un luogo chiamato “La fossa”, al suo fianco vi è l’anziano Trimagasi (Zorion Eguaileor) che inizia a spiegargli come le cose funzionano. La fossa è un luogo di contenimento, simile a un carcere, ma in verticale; una sorta di purgatorio dantesco anche per via di quella che dovrebbe essere la sua funzione.
Ogni livello di quel luogo ha due persone al suo interno e ogni mese vengono spostati insieme, in maniera apparentemente casuale, da un livello all’altro. Più si è in alto, più si mangia bene; più si è in basso, meno probabilità ci sono che arrivi del cibo. L’unica cosa che lega i vari livelli tra loro, infatti, è la piattaforma che ogni giorno scende portando ogni sorta di leccornia ai vari piani.
Chiunque può portare con se un’oggetto, paradossale è il fatto che Goreng abbia portato con se un libro. L’uomo, infatti, si trova all’interno della struttura per sua spontanea scelta, così da poter essere isolato dal mondo per poter leggere, di certo non si sarebbe mai aspettato di vivere l’esperienza che il Buco offre.

Esistono quindi tre tipi di uomini all’interno di questa struttura:
- Quelli che stanno in alto, e che per tale ragione non aiutano quelli che stanno in basso
- Quelli che stanno in basso, che per lo più muoiono di fame o mangiano ciò che è stato sbocconcellato dagli altri
- Infine, quelli che cadono; coloro sono quelli che da questa esperienza hanno ottenuto tutto o che hanno esaurito ogni possibilità

Quella che viene proposto al pubblico è una distopia dissacrante che però riesce a scandagliare l’animo umano ponendolo all’interno di questo purgatorio verticale. Per certi versi, il film può essere accostato a trame simili come quella di Saw o di Cube, ma in realtà vi è qualcosa di profondamente diverso. In tutti e tre le pellicole la cattura e la “prova” viene fatta per il raggiungimento di una catarsi. Vi è il peccato commesso dal singolo individuo e la sua espiazione attraverso la paura, quasi come se venisse loro applicata la legge del taglione. Qui non è così. Il Buco, nella sua verticalità, unisce sia chi deve essere realmente redento a chi in realtà non ha nulla da perdere; come se oltre i “veri” peccatori si dovessero punire anche gli ignavi o gli accidiosi. Attraverso l’espiazione del protagonista, soprannominato durante il corso degli eventi il Messia, si può accedere a una più profonda analisi della società e all’egoismo che la permea.

Una frase appare chiara per poter decodificare l’interna narrazione: “se tutti mangiassero quello di cui hanno bisogno il cibo arriverebbe anche ai livelli più bassi”. Parole che fanno comprendere allo spettatore quanto in realtà, quella sadica struttura, non sia altro che un centro di correzione comportamentale per cercare di sviluppare una solidarietà spontanea che ormai il capitalismo ha ridotto allo stremo. Perché proprio il capitalismo? Questo viene riflettuto proprio nel rapporto che i “detenuti” hanno con il cibo. Chi si trova a un livello più alto non si preoccupa che quelli dei piani inferiori possano anche non mangiare, ma preferiscono arraffare e consumare fino anche a scoppiare. Non mangiano il giusto, ma tutto quello che possono. Ed è un po’ ciò che spinge a fare il capitalismo nella sua accezione negativa: arraffare tutto quello che ci si può permettere solo per il gusto del possedere


Quella che Il Buco da, attraverso il grottesco e l’horror, è una visione del marcio collettivo che ormai affligge la nostra quotidianità.
Forse non è il film più adatto per il periodo che stiamo vivendo, ma sicuramente merita una visione perché è in grado di incollare il suo spettatore allo schermo. Siamo davanti a una pellicola che è in grado di shockare, anche attraverso l’uso della fotografia, delle luci, dei colori, il proprio pubblico.
Ben fatto Spagna!

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