#Lapiziaween: Le strade del male - Recensione

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lunedì 19 marzo 2018

Tre Manifesti a Ebbing, Missouri - recensione


“La rabbia genera solo altra rabbia” ecco cosa bisogna tenere a mente durante tutta la visione della pellicola. 

Una delle cose che ho ammirato da sempre, ma che mi spaventa non poco, è l’idea che si radica nella profondità dell’immaginario americano riguardante la possibilità di “farsi da se”. Quest’idea si riversa in tantissimi ambiti ed è un po’ alla base della narrazione di "Tre Manifesti a Ebbing, Missouri". C’è chi cerca di spronare la giustizia affinché faccia il suo corso con le proprie mani, c’è chi invece crede di poter essere soprattutto e tutti arbitrando secondo le proprie regole, chi invece decide di metter fine alla propria vita per non permettere che gli altri possano avere un ricordo negativo di se. Decisioni che fanno di questo film una potenza senza pari di propaganda alla lotta per i propri ideali.
C’è redenzione, c’è vendetta, c’è dolore, c'è fragilità, c’è tutta la potenza di quelle emozioni indomite nell’animo umano.


EbbingMissouri. Mildred Hayes è una madre divorziata e con un figlio a carico, Robbie. A circa un anno dalla morte dell'altra sua figlia, Angela, violentata e bruciata viva, si accorge che sulla strada che porta alla sua casa vi sono tre cartelloni pubblicitari in disuso. Decide di affittarli dall'agente pubblicitario Red Welby e vi fa affiggere sopra tre frasi: "Stuprata mentre stava morendo", "E ancora nessun arresto", "Come mai, sceriffo Willoughby?". I suoi concittadini hanno sempre compatito la situazione di Mildred, ma di fronte a quest'accusa esplicita in molti si ergono in difesa dello sceriffo Bill Willoughby, membro stimatissimo e irreprensibile della comunità che tra l'altro, stando alle voci, soffrirebbe di un cancro in fase terminale. Fra questi vi è Jason, un giovane poliziotto con problemi di violenza e di alcolismo, che vede in Bill una sorta di mentore. -fonte 

Il tema centrale nella trama è sicuramente attuale e dannatamente contestualizzato se si pensa al finale della pellicola; lasciare aperta la conclusione ci fa subito pensare a come nella realtà la maggior parte dei casi di abusi simili a quelli che vengono narrati restano irrisolti. Non stiamo guardando un giallo o un thriller, siamo davanti a un dramma che merita di restare insoluto per mostrare la più completa trasformazione e crescita dei personaggi principali.

Frances McDormand (Mildred Heyes) porta in scena una donna che lo spettatore non riesce a definire vittima, perché è forte persino quando ha paura.
Umana nella sua fragilità, debole nei suoi sensi di colpa, vittima di un marito troppo violento che l'ha portata ad agire in un determinato modo nei confronti della figlia. Donna, madre, vendicativa, capace di incarnare tutti gli aspetti più unici dell'animo femminile. 
Woody Harrelson (Bill Wwilloughby) è capace di raccontare un personaggio solo attraverso gli occhi, la sua bravura nell'incarnare i personaggi più fragili mostra uomini che nonostante il "male" si mostrano nella più totale virilità. Il suo personaggio è un uomo che prende in mano la propria vita e decide di non permettere alla malattia di decidere di se, sostiene la causa di Mildred e nelle scene con lei risponde alle parole della donna con la potenza del silenzio. 

La forza motrice dell'alternarsi delle azioni in pellicola viene dettata dalla violenza, il ritmo cambia alla vista dell'atto decisivo che muta profondamente l'agire dei personaggi. Vi è un "pre e un post-morte dello sceriffo Willoughby" gestito da ritmi profondamente diversi che mostrano tutte le fragilità degli individui in scena; il momento nella stalla è la tessera che innesca quel domino irrefrenabile che condanna tutti ad un circolo vizioso. 
Viene mostrato come tutte le azioni vengono messe in concatenazione dai "sensi di colpa": la violenza, infatti, è innescata proprio da quel dolore interno che spezza il petto e il respiro; che non ti fa ragionare, che ti fa scegliere e sbagliare. I sensi di colpa di una madre - nati da quel rapporto contrastato con i figli adolescenti - sono quelli che la spingeranno ad affiggere i 3 manifesti lungo la strada che percorre ogni singolo giorno per raggiungere da casa propria il centro del paese, quella  stessa strada che è stata sfondo dello stupro e dell'assassinio della figlia. 
Saranno i sensi di colpa che, inoltre, spingeranno Dixon a modificare il proprio comportamento, passando da eterno Peter Pan senza responsabilità ad un uomo detective capace di indagare anche quando il suo stato d'animo non è dei migliori. 

Il film è un buon film, non eccezionale, ma gradevole. Il grosso del lavoro sicuramente viene fatto dalla scelta che è stata adempiuta nel cast; la potenza espressiva della vincitrice dell'Oscar 2018, così come quella degli attori non protagonisti, rendono incisive le parole che pronunciano, diventando capaci di mostrare quella brutalità subita dalla vita anche nel modo di pronunciare determinate parole. 

Molto probabilmente avrei dato l'Oscar a un film del genere piuttosto che a "The Shape Of Water".

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