#Lapiziaween: Le strade del male - Recensione

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giovedì 1 marzo 2018

La forma dell'acqua - recensione

Già vincitore del Leone d'oro alla biennale di Venezia, candidato a ben 13 nomination agli Oscar 2018, The Shape of Water è nelle sale italiane dal 14 febbraio. La nuova pellicola, di Guillermo Del Toro, catapulta il suo pubblico in quelle atmosfere cupe tipiche del thriller/horror che abbiamo imparato ad amare con i lavori del regista messicano.
Nella Baltimora del 1962, in piena guerra fredda, viene delineata un'America troppo verde, nella quale si sta lentamente mettendo in luce quell'ombra che il sogno americano nascondeva.


Elisa Esposito (interpretata da Sally Hawkins), un'orfana affetta da mutismo, è una delle addette alle pulizie del laboratorio di ricerca del paese. La donna viene mostrata nella sua routine, in quelle azioni ripetute quasi in modo meccanico, quasi come se quei riti le permettessero di venire a patti con quel mondo - lavorativo e sociale - che realmente sembra non appartenerle. Intrappolata nella sua solitudine troverà una profonda empatia in quella cosa che, come lei, non emette nessun suono articolato nonostante la bocca le si muova.
Le espressioni di Elisa, il suo modo di approcciarsi al mondo, o alla propria routine, rendono particolarmente delicato il modo con cui ella si avvicina alla sessualità. La forza che il regista messicano è solito imprimere nelle donne, anche in questo caso, non viene meno; non siamo davanti a una seducente e mortale femme fatale, ma al contrario abbiamo una donna che non si vergogna di provare del desiderio sessuale, nonostante si avvicini ad esso con la stessa curiosità e innocenza che caratterizza un'età ben più giovane.

Piccolo spoiler: tutti si sono concentrati su quanto sia bestiale la bestia, su quanto questo amore possa risultare l'accettazione dell'altro, ma nessuno si è soffermato a chiedersi che cosa fosse Elisa. Una donna che è si muta, ma perchè possiede le branchie. Trovata sul fondo di un lago anche lei ha un'affinità sensoriale che, comunque non viene spiegata ma, potrebbe essere elemento fondamentale per la forma di attrazione che si crea tra i due protagonisti. Anche lei appartiene all'acqua, anche lei ne è forma, ed è per questo che, probabilmente, parte della sua ritualità coinvolge anche questo elemento, così come avvolgerà il nascente amore.

Al suo fianco vi sono l'amica di sempre Zelda Delilah Fuller (Octavia Spencer un po' cristallizzata negli stessi ruoli) con cui condivide le ore lavorative e il coinquilino Giles (un adorabile e magistrale Richard Jenkins); punto in comune tra i tre è la stessa situazione sociale: sono degli emarginati, isolati nella loro incapacità adattiva al mondo.

Antagonista della narrazione è il colonnello Richard Strickland (interpretato da uno spettacolare Michael Shannon), la sua figura è la chiave di volta per comprendere la visione critica nei confronti dell'america degli anni 60. Se, infatti, lo poniamo in contrapposizione con la creatura marina che il colonnello cerca di "dominare" è facile notare come tra i due è l'uomo ad essere realmente bestiale. 
Michael Shannon, con la sua performance, riesce a delineare i tratti di quel bullo, adulto, che riesce a farsi forte solo perché chi ha davanti è fisicamente o psicologicamente più debole. Il "self-made man" dell'immaginario americano è qui debole, perché realmente fallisce persino in quella che era la sua missione. La forza bruta, la quale crede che tutto gli sia dovuto senza neanche dover chiedere, che viene abbattuta dalla furbizia; l'uomo che viene battuto dalla virilità nascosta in quello che non sembra umano.

Dopo la visione del film, meritatissime sembrano le nomination che riguardano i premi prettamente tecnici. Musica, montaggio sonoro, regia, scenografia, fotografia, costumi, sono perfetti per mirare al cuore dello spettatore. Tutto riesce a far immergere in quella che appare essere una fiaba, una romantica storia d'amore raccontata con giochi di sguardi e con la dolcezza che riguarda la capacità di comprensione che si instaura tra i due protagonisti della storia. La comunicazione che si crea tramite gli sguardi, la fiducia che si instaura, diventa palese grazie alla bravura di Sally Hawkins e di Doug Jones (l'uomo anfibio); il secondo ha lavorato già altre volte con lo stesso Guillermo, come ad esempio ne "Il labirinto del Fauno" e in "Hellboy".
Un po' meno adatta sembra essere la nomination come miglior film in quanto la pellicola non si dimostra all'altezza dei lavori a cui ci ha abituato Del Toro (Crimson Peak o Il Labirinto del Fauno per citarne alcuni). Quell'aria cupa e profonda, quasi psicologica, che mette a nudo l'oscurità più profonda dei suoi protagonisti, mostrando la forza della femminilità, esattamente come la debolezza della mascolinità.
Il romanticismo lascia l'amaro in bocca, come se qualcosa mancasse in tutta questa delicatezza; forse un'eccessiva delicatezza che non permette allo spettatore di scendere affondo nel tipo di rapporto che si instaura tra la creatura marina ed Elisa. 


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