Prodotto in america, con attori americani, nasce da un'idea tutta italiana; è nelle sale italiane dal 12 agosto, ma il trailer è stato mostrato in anteprima ai giurati del Giffoni Experience. Monolith divenuto protagonista di una chiacchierata, è servito a far conoscere ai giurati la difficoltà con cui si affrontano due punti di vista differenti quando si cerca di realizzare due prodotti mediali che seguono la stessa storia. L'incontro ha dato luogo a una spiegazione sull'idea che vi era alla base di questa sorprendente narrazione, attraverso le risposte che Ivan Silvestrini - il regista - e Mauro Uzzeo - sceneggiatore e creatore del fumetto - hanno dedicato al loro pubblico in sala.
Dopo una breve introduzione, sulla motivazione di Mauro nel raccontare le sue storie, si è subito arrivati al dunque: come si è arrivati alla creazione di qualcosa di innovativo nel cinema italiano.
Mauro: È chiaro che, una volta che arrivi, con il fumetto, a raccontare storie per la più importante casa editrice italiana che è la Sergio Bonelli Editore, non ti basta, vuoi andare ancora oltre. Vuoi conquistare il pubblico del cinema. Ma il primo problema con cui vi scontrerete è il fatto che dei produttori, o chi dovrebbe mettere i soldi per l’esecuzione di queste storie, vi dirà che costano troppo. Quindi qual è l’arma che avete voi? Inventare delle storie, ma che costino poco. E come avete visto dal trailer, Monolith parla di una donna che tenta di liberare, dalla macchina più sicura del mondo, il figlio. Quindi se ci pensate, in scena c’è una macchina, un’attrice e un bambino. Quindi l’idea di creare una storia che in potenza fosse facilmente realizzabile, è stata la prima molla che ha creato Monolith. Chiaramente a questo si è affiancato l’urgenza di raccontare questa storia che potesse mettere in scena il conflitto l’uomo e questa tecnologia di cui ci circondiamo quotidianamente. Quindi come questa facilità di accesso alla tecnologia possa metterci nei guai. [...] Allora ci siamo detti perché non troviamo una storia di genere, dai fumetti che sono la nostra passione, e proviamo a costruire un film. Il punto qual è? Che nonostante tu abbia una storia, che economicamente sembra realizzabile, in Italia ti dicono “Eh però non è una commedia”. E invece noi abbiamo insisto sul convincerli a credere in questo progetto.
Ivan: Nessuno mi avrebbe mai chiamato così per quel film, perché io avevo fatto un altro film che si chiamava “Come non detto” che però era una commedia. Che era anche piaciuta, ma era una commedia. Di solito c’è un pregiudizio, anche abbastanza diffuso, del fatto che se tu nella vita hai fatto solo commedie chissà se tu sei fatto per poter fare altro da questo. Però io di film ne avevo fatto solo uno, non è che per tutta la vita avevo fatto commedie. Io però ero un grande amante del cinema di genere e in qualche modo questa cosa doveva essere dimostrata, non solo, io dovevo anche dimostrare di sapere gestire un film girato in lingua inglese. Allora che cosa ha reso me un candidato per questa realizzazione? Se non fosse che in tempi non sospetti, io da solo con pochi amici, avevo fatto una webseries in inglese che si chiama “Stuck” e un’altra in italiano, ma di genere, che si chiamava "Under", mi hanno reso un candidato possibile. Mi hanno così chiamato, a mo’ di consulente, visto che comunque li conoscevo. Io ho letto e riconosciuto immediatamente il potenziale di questa storia. Perché le sfide per questa giovane madre crescono sempre più di difficoltà, fino a quando lei non dovrà compiere l’indicibile. Voi ovviamente non sapete come andrà a finire, ma questo dilemma mi sembrava fortissimo da raccontare. [...] Io ho detto semplicemente questo agli autori: secondo me questo film sarà sicuramente una bomba e se voi state pensando ad altri registi che non siano io, sappiate che li ucciderò ad uno a uno finchè non rimarrò soltanto io. Per fortuna loro stavano già pensando a me, così non è stato necessario sporcare la mia fedina penale. All’inizio siamo stati molto fedeli al fumetto e ci hanno detto “eh… però?” e allora abbiamo capito che non sarebbe bastato. Siamo tornati a casa e abbiamo ricominciato a scrivere la storia e allora siamo andati al di la della semplice lotta di una donna contro la macchina per salvare un figlio. E qui comincia un processo interessante di scrittura di un film, perché tu sai che c’è del buono, ma devi provare a inquadrare la stessa storia sotto un altro punto di vista. La domanda che ti devi fare è “ma se… questo fosse anche questo” ed è quello che ci siamo chiesti noi, senza spoilerare troppo.
Facendo così insorgere nel pubblico quell'espediente narrativo capace di incollarci alle poltrone: il dubbio.
Domanda: Considerate il vostro film come un
cinecomics o se vi è venuta prima l’idea del film e poi la Bonelli ci ha fatto
il fumetto? E se fosse un cinecomic, vedreste nel fumetto italiano un
evoluzione che dalla carta possa portare al grande schermo?
Mauro: secondo me, Monolith non è un cinecomics per un motivo semplice… li abbiamo fatti in contemporanea con la volontà di non rendere l’uno l’adattamento dell’altro. Il film non è l’adattamento del fumetto o viceversa, semplicemente… viviamo in un mondo strano. Quante volte nella vostra vita avete fatto una serie di mosse e poi è avvenuto tutto insieme. Per un caso del destino, infatti, le due lavorazioni hanno coinciso, per cui Ivan non sapeva come stava andando il fumetto e io non ero sul set con lui mentre girava il film. Però i punti di contatto siamo stati io e Lorenzo Ceccotti, che è il disegnatore del fumetto e il produttore del design del film, e abbiamo scelto di andare in due direzioni diverse. Che è un po’ quello che stanno facendo anche altri, ad esempio con The Walking Dead. Così da poter intrigare due tipi di pubblico diversi che successivamente possono interessarsi anche all’altro formato per curiosità. La stessa cosa con i fan di Game of Thrones. Così noi abbiamo cercato di usare il potenziale che avevamo non per fare la stessa storia, ma per affrontarla con due punti di vista differenti. Abbiamo provato a osservare lo stesso oggetto in prospettive opposte per vedere cosa ne sarebbe uscito fuori. Tanto da arrivare, adesso, a non sapere cosa consigliare prima. Il mio consiglio è fruiteli entrambi e fateci caso, rappresentano due facce della stessa medaglia.
Per quanto riguarda i Cinecomics… si, sono convinto che ce ne saranno sempre di più e anche fatto in Italia. Perché è pieno di proprietà intellettuali, notizia recente è che la Sergio Bonelli Editori è rientrato in possesso dei diritti di Dylan Dog. Quindi sono convinto che si andrà sempre di più nella direzione degli adattamenti anche dai fumetti.
Domanda: Visto che la vostra è stata
una scommessa, come lo sono stati i film precedentemente citati, perché poi non
avete scelto di esportare anche talenti italiani all’interno del cast?
Ivan: La risposta è molto semplice. Io credo che ogni storia abbia il suo luogo e la sua lingua. Così come Jeeg Robot ha la sua particolarità che è la sua capacità di amplificare la realtà romana, o veloce come il vento è ambientato a Imola che è un’altra realtà italiana. Questo film che, invece, aveva bisogno di due elementi: l’ossessione per i grandi suv, che in Italia non è decisamente presente come in America; e le location sono molto particolari, in Italia non abbiamo il deserto che fa da sfondo principale al film. E sapendo di dover rendere il film interessante, farlo in Basilicata non era l’ideale.
Mauro: film come Monolith che non nascono come commedia all’italiana, hanno un potenziale narrativo facilmente esportabile. Quindi da subito i produttori ci hanno detto: facciamolo in inglese, perché purtroppo il cinema italiano indipendente ha una bassissima visibilità rispetto ai grandi attori che tutti conoscono. Noi sappiamo che Checco Zalone esce in 900 sale, e sapevamo che Monolith non avrebbe potuto avere la stessa potenza di fuoco perché è un progetto particolare. Girarlo in inglese, con un’attrice comunque nota al pubblico americano, ci permetteva fin da subito di vendere il film nei mercati internazionali. Infatti in Italia esce il 12 di agosto, ma in realtà è stato già distribuito in altri 20 paesi. Un rientro economico che con degli attori italiani non sarebbe stato possibile. Quello che vi consiglio è: siate ambiziosi nel pensare di poter essere internazionali, non solo territoriali.
Domanda: Quando vi hanno chiesto di
ampliare la sceneggiatura, partivate da una base solida, avete proceduto
attraverso associazioni di idee, avendo magari altri progetti in mente che
magari si sposavano con la trama originale? Dal punto di vista della regia, sia
più ispirato a livello grafico dalla lettura del soggetto e della sceneggiatura
o dalle suggestioni che si hanno quando si va a girare sulle varie location?
Ivan: Diciamo che io ho avuto un privilegio, in questo film, ed è stato l’avere con me, prima e durante le riprese, un genio come Lorenzo Ceccotti. Colui che ha disegnato le tavole del fumetto e storybordato, con me, tutto il film. Quindi anche nel momento in cui avevo delle idee, lui ridisegnava il tutto con un tale impatto che venivo spinto dalla voglia di ricreare quei disegni. Era un gioco delle parti. Questo è un discorso che resta di pura teoria, quando però fai un film la teoria viene meno e trovandoti davanti la scena devi venire a patti con le tue idee e la realtà. Il tempo o la location ti impongono delle alternative e tu devi avere la capacità di seguirle. Voi non potete andare sul set con la semplice idea di come lo volete fare, cosa che facevo io all’inizio sbagliando. Voi dovete andare sul set con un piano A un piano B, uno C e un C2, perché devi tornare a casa in sala montaggio e devi sapere con che immagini raccontare la scena. Quindi si, la location mi ha inevitabilmente condizionato.
Mauro: per quanto riguarda la sceneggiatura… il fumetto ha una capacità evocativa che per poter essere uguagliata con un film devi avere dei budget veramente enormi. Perché con il fumetto tu hai solamente carta e colori, ma con essi puoi creare qualunque cosa, puoi lascarti andare, ma se dovessi fare le stesse cose nel film devi pensare ai costi. La scena in casa: la villa ha un costo, il marito ha un costo, salendo in macchina si deve fermare il traffico, si devono mettere altre macchine su strada e via dicendo. Tutto quello che c’era all’inizio del fumetto c’era anche nel film, ma uno sceneggiatore deve avere occhio anche per il costo che ciò comporta. La sceneggiatura è una scrittura tecnica, non puoi lasciarti andare come nella prosa. Praticamente nei primi sette minuti del film avevamo già finito il budget, infatti abbiamo deciso di iniziare il film nel momento in cui Sandra è già nella Monolith, facendo questo abbiamo trasformato tutto il non detto in contesto narrativo. E allora abbiamo iniziato a ragionare su tutti quelli che potevano essere i Non detti e i demoni interiori del personaggio.
Domanda: Avete avuto problemi di traduzione
dal fumetto al prodotto audiovisivo di episodi di violenza?
Ivan: Ci sono degli episodi di violenza in Monolith, non ci possono non essere. Diciamo che per far crescere la tensione in un film, la paura di una violenza imminente è un elemento forte. La paura di essere sbranati è un elemento di chiara immedesimazione. Ma in generale è questa è una domanda sociologica complessa che ho cercato di sviare nella realizzazione del film. Io non credo che, onestamente, giocare a videogiochi violenti ti rendano necessariamente una persona violenta, però devi avere anche altri stimoli nella vita. Se l’unica cosa che ti circonda è violenza, alla fine in qualche modo è quello in cui cresci, ma se riesci a nutrirti di bellezza e di positività, giocare a street Fighters non fa male a nessuno.
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