#Lapiziaween: Le strade del male - Recensione

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martedì 2 giugno 2020

La follia dei social, ai tempi delle proteste

Quella a cui stiamo assistendo oggi è la dimostrazione di un grande senso di confusione che permea la società. 
Se da un lato abbiamo chi scende in piazza e protesta silenziosamente, dall'altra abbiamo chi brucia tutto senza guardare in faccia nessuno. 
Mentre chi se ne sta comodamente seduto sulla propria poltrona aspetta che siano gli altri ad aprire bocca per potersi indignare, per poter urlare allo scandalo, per poter giudicare e talvolta denigrare.
I social. 
Le enormi piazze nella quale la gente può scendere con un megafono dalla potenziale portata mondiale, di cui molto spesso non si conosce il potere o ci si aspetta troppo. Un potenziale che sembra aver dato alla testa, e la dimostrazione sta nel "posto" o in chi viene riposta la fiducia. Siamo arrivati ad un punto in cui si crede più in chi è popolare e non alle autorità o nelle istituzioni. Se negli anni '40 gli americani avevano inventato i supereroi, adesso noi abbiamo l'indignazione come arma per il cambiamento. 

Mi chiedo che senso abbia leggere qualsiasi cosa se oggi giorno si è tuttologa googlando.

Ci si informa e si forma la propria opinione dimenticando il passato e il presente. Pensando a un futuro nella quale tutti possono e devono - talvolta costretti - dire la loro.
La libertà di parola ha spinto l’individuo a deresponsabilizzarsi: “tanto è solo la mia opinione”. Muovendosi in rete solo secondo gli aggregatori di consenso: “seguo chi la pensa come me”.
Si è perso il senso del dibattito.
Si è arrivati ad un punto in cui è il popolo a chiedere ai propri “idoli” di aprir bocca per potersi schierare da una o dall’altra parte, se non lo si fa partono vere e proprie teorie del complotto.

Idoli. Non si sa neanche che cosa indichi questa parola. Ma può suonar familiare: si scambia l’attore o l’influencer per una qualche sorta di divinità. Ci si aspetta che loro siano il nostro nuovo vitello d’oro pronto a elargire contenuti, pensieri, intrattenimento così da poter far sentire soddisfatti chiunque li segua.
“Se lo ha detto il mio attore preferito allora sarà vero”. Ma lui è un attore, non si deve pretendere che egli sia anche sociologo o politico. Può esserlo, perchè ha lo stesso potenziale di chiunque altro, ma non possono essere i suoi followers a pretendere il suo attivismo. Lui fa l’influencer di creme e cremine vi consiglia come fare la spesa, ma non è tanto più differente da chi in televisione accarezzava i materassi.
Chi avrebbe mai preteso un attivismo politico da un testimonial?

L’attore e l’influencer di turno è così costretto a divenire l’educatore delle masse; il Gandhi dei social. E deve perché i seguaci inneggiano a ciò.
Non vi rendete conto che non deve essere un attore o un influencer a darvi le risposte che volete? A dirvi i sì politici di cui sentite il bisogno?
Il fatto che Trump o Salvini vi abbiano intortarti facendosi passare per influencer non vuol dire che loro abbiano lo stesso ruolo di chi vi dice di comprare Fitvia.

Non pensate che un influencer vi debba informare su sociologia, psicologia, storia e politica, perché non è così.
Prendete in giro solo voi stessi se credete che la popolarità in modo automatico spinga un altro individuo a pensarla diversamente. Perché non sarà di certo la parola di un attore a far finire situazioni che sono insite nella stratificazione sociale. Non sarà un influencer che dicendo questa o quella frase a fermare ciò che è intessuto nella cultura da anni e anni di silenzi.

E non fraintendete. Si parla, si deve parlare, si può parlare, non si deve stare zitti. Ma non ci si deve aspettare nulla dagli altri perché gli altri non sono voi. Gli attori o gli influencer non vi devono nulla che non sia il loro stesso lavoro.
Le cose vanno cambiate, ma a livello sociale.
Le cose vanno studiate, ma tra i banchi di scuola.
E non aspettate di essere influenzati da qualcuno, piuttosto siate voi stessi messaggio di ciò che volete cambiare.

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