#Lapiziaween: Le strade del male - Recensione

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lunedì 25 maggio 2020

#Netflix: Non ho mai - Recensione serie tv


Se vi è piaciuta "Jane The Virgin" allora, con buona probabilità, vi affezionerete ai personaggi di “Non ho mai…” una delle nuove serie Netflix che è stata recentemente doppiata in italiano. Se, infatti, in Jane The Virgin avevamo la cultura sud americana che la faceva da padrone, in questo caso siamo in presenza della ferrea disciplina indiana.
Dopo aver passato un anno orribile caratterizzato da un dolore così profondo che le ha provocato una paralisi psicosomatica, Devi Vishwakumar vuole riuscire a scalare la piramide sociale scolastica provando ad entrare a far parte dei ragazzi più fighi della scuola. Così, insieme alle sue due migliori amiche cercherà di puntare le sue carte vincenti sul tentare di avere tutte e tre un ragazzo.

Fin dalla prima puntata viene immediatamente approfondito il background di Davi e delle sue amiche; presentate nei loro gusti e nelle loro passioni, cose che verranno lentamente approfondite e indagate nel corso della serie. Un po’ come se fossimo in una teen comedy degli anni ’80, Davi deve venire a patti con una madre apprensiva, una cugina che rappresenta la perfezione e con gli sguardi e i commenti dei compagni. Tra la sua cotta storica e la sua nemesi le scintille sono dietro l’angolo.
La cultura indiana, come sottolineato, è predominante e fondamentale per lo svolgimento della trama. Il contesto nella quale la ragazza si muove, infatti, è fondamentalmente dicotomico. Da una parte vi è la cultura americana, che l’ha realmente cresciuta; e la cultura indiana alla quale la madre è molto fedele.

Quello che si ha in queste puntate è un percorso di autoacettazione e di crescita da parte della protagonista. Un’autoconsapevolezza che la maggior parte delle volte dimostra quanto poco matura sia nonostante come secondo altri aspetti ella sia in grado di auto-analizzarsi e demolirsi.

La struttura narrativa della serie ha un ritmo incalzante. Ed essendo, molto spesso, teletrasportati all’interno della mente di Davi per merito della voce del narratore, lo spettatore assume in fretta il suo punto di vista, ciò viene accompagnato al movimento di camera, dalle disgressioni in flashback o lo slowmotion che accentua i passaggi mentali della ragazza. Quello che non vi viene mostrato, o narrato, scenicamente viene raccontanto attraverso le confessioni che la protagonista fa alla psicologa. Ciò dimostra come, in America, la maggior parte dei ragazzi preferiscano parlare con un estraneo – seppur un professionista – per confessare le proprie emozioni, piuttosto che i propri genitori. Molto spesso, in queste serie, si vede quanto i ragazzi siano incapaci di considerare i propri genitori come un porto sicuro, mentre al contrario i genitori sembrano dimenticare come era vivere da adolescente.


Il fatto che le puntate durino solo 30 minuti garantisce alla narrazione una così notevole fluidità che spinge lo spettatore a un rapido binge watching, un po’ come se si avesse davanti un pacchetto di confettini e uno ne attirasse un altro.

1 commento:

Anonimo ha detto...

I buoni film https://altadefinizionenuovosito.net si insegnano... Non arrabbiatevi e non avrete una sensazione negativa.