#Lapiziaween: Le strade del male - Recensione

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martedì 13 giugno 2017

Occhi sul nuovo successo dell'HBO: Westworld

(Contiene spoiler)

Se quello che state cercando è uno show capace di catturare la vostra attenzione con un’intensa story-line dal forte impatto comunicativo, che metta in scena quello che è il profondo dissidio dalla quale nasce l’immaginario americano, allora vi basterà rivolgervi ancora una volta all’HBO.
In dieci puntate ci troviamo una serie televisiva basata sull’omonimo film scritto e diretto da Michael Crichton del 1973; Nolan ha diretto l’episodio pilota, ma tra la produzione esecutiva troviamo J.J. Abrams e Bryan Burk, conosciuti ai più per film e serie dal notevole successo. Westworld fin da subito ti fa comprendere che c’è qualcosa sotto la superficie, qualcosa che lo spettatore riesce a scoprire e ad analizzare attraverso le stesse deduzioni che ripercorrono i vari protagonisti.
La tecnologia sembra quasi trasportarci in un mondo utopistico, dove chiunque è libero di essere quello che desidera, dove si può scoprire chi si è realmente. La mecca del peccato dove tutto resta al suo interno, un parco divertimenti decisamente più intenso di quelli pensati finora dall’uomo. In un mix di fantascienza e di sociologia si apre quello che è il profondo immaginario americano che si muove tra frontiera e puritanesimo; se, infatti, da un lato possiamo trovare la frenesia e la libertà, dall’altro ci si avvia verso una nuova narrazione quella data dalla presa di coscienza. I peccati e i peccatori, che si confrontano con quella che è la loro remissione all’interno di un labirinto che permette di scoprire sé stessi; il tutto, però, è riservato ai residenti. Le intelligenze artificiali così si fanno portavoce di quella nascita della coscienza, che come nell’uomo, porta lentamente alla consapevolezza delle proprie azioni, passate e presenti; infatti, se inizialmente ci sembra di essere stati trasportati in un perverso gioco alla “ricomincio da capo”, nel corso delle varie puntate si è coinvolti in un travolgente percorso di auto-coscienza che, grazie al superbo intreccio narrativo e alla costruzione di ogni singolo carattere permette al suo pubblico di essere pienamente coinvolto con quello che succede in scena.
Interessante appare dunque quello che è l’aspetto comunicativo della serie, capace di tessere le fila di ogni singolo microcosmo caratteriale, riuscendo a coinvolgere e a permeare ogni tassello della quale il parco è costruito.
I singoli personaggi, protagonisti o no, che, se non analizzati correttamente, fanno perdere alcuni piccoli dettagli in grado di lasciare gli spettatori con il fiato sospeso. Duplici saranno i ruoli ricoperti da protagonisti come Dolores (Evan Rachel Wood) o “L’uomo in nero” (Ed Harris), capaci di far concentrare su di loro l’attenzione da non farci comprendere il salto temporale che invece li coinvolge rivelando quindi una storia dalla duplice temporalità. Intrigante, inoltre, è la costruzione dei personaggi di Bernard (Jeffrey Wright) e di Maeve (Thandie Newton); il primo si fa portavoce della menzogna all’interno delle mura dell’amministrazione del parco, la seconda, invece, concretizza in se la piena realizzazione del libero arbitrio.
Credo che la tecnica narrativa di Westworld faccia tanta presa sul pubblico proprio perché si assiste a quella che, oltre ad essere la creazione di una coscienza artificiale, è stata la creazione dell’uomo. I creatori del parco agiscono come una qualsivoglia Divinità e, attraverso chiare citazioni, o parallelismi, lo spettatore arrivi a comprendere questa realtà. La dotazione in alcune creature di “memoria, improvvisazione, interesse personale”, dopo un percorso labirintico, non può portare ad altro che libero arbitrio. Infine non si può far altro che congratularsi con l’itero cast per la meravigliosa interpretazione eseguita; specialmente con chi interpretava i residenti, in grado di comunicare con il proprio viso, anche quando l’emotività del personaggio doveva essere quella basilare governata dall’uomo della quale un automa può essere dotato.

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