#Lapiziaween: Le strade del male - Recensione

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domenica 11 giugno 2017

Gli USA come Panem

Il 19 novembre 2016 si è ufficialmente conclusa la saga di Hunger Games. L’uscita in versione DVD dell’ultimo film della saga, fa esultare i fan collezionisti più accaniti che sono accorsi ad acquistare l’epilogo di una storia dai risvolti più complessi e nascosti, infatti, non tutti sanno riconoscere rintracciabili nella realtà negli scontri fisici e politici. Come per ogni singolo prodotto narrativo, è possibile rintracciare strutture narrative che trovano fondamento in quello che è l’immaginario americano.
I riferimenti all'interno della saga sembrano molteplici, la stessa autrice ha detto più volte di aver trovato l’ispirazione quando delle sconvolgenti notizie al telegiornale le stavano rendendo difficile separarle dai reality show. In effetti, la saga della Collins si presenta come, una distopia classica capace di rappresentare, seppur metaforicamente, eventi storici reali in una continuità tra presente e passato.
Una guerra catastrofica ha distrutto completamente il sistema sociale precedente; il risultato è stata l’instaurazione di una struttura politica in cui un potere centrale controlla tutti in maniera dittatoriale, funzionalizzando rigidamente gli spazi rimasti. Per mantenere vivo, nei distretti, il ricordo della perdita della guerra, e per assicurare la coesione sociale, ogni anno viene organizzato questo violento show – da cui prende il nome l’intera saga – in cui membri devono uccidersi tra di loro fino al trionfo del singolo. C’è una metropoli – Capitol City – che consuma i 12 distretti –originariamente 13 – coloro che costituiscono la produzione. Immediatamente balza agli occhi il riferimento alla guerra di indipendenza americana, le 13 colonie che si ribellano all'estremo consumo che l’Inghilterra praticava.

Sullo “Spazio” dobbiamo focalizzare la nostra attenzione: le gestione di esso è fondamentale per il Presidente Snow, infatti ponendosi come un despota manipola e manovra la divisione dei distretti. Contestualizzando la narrazione dei fatti distopici, il paragone sembra difficile da comprendere; il modo di agire in America si concentra, come detto in precedenza, sul modo con cui viene categorizzato questo elemento. L’immaginario americano ha trovato ampio sviluppo grazie alla vastità del territorio e, nel corso del Novecento, è stato quasi ossessionato dagli strumenti di classificazione e controllo della mente e i vari livelli della personalità.  Mentre in Europa, l’unico modo per poter cercare di modificare quello che era il mal contento del popolo, si ricorreva al conflitto; in America, il nuovo continente permetteva la fuga davanti ai problemi interni, se un cittadino era scontento poteva andare alla ricerca della sua nuova dimensione. Per i meno esperti apparirà poco chiaro il discorso fatto fino a questo punto, ma se si analizza il modus operandi delle guerre sostenute dall’America, fino a quella del Vietnam, ci si rende conto come questa gestione del conflitto si riversi nella realtà. Sembrano quasi fantasie, ma si vuole sottolineare come ogni singolo aspetto mentale provenga da una cultura ben precisa e si riversi nella realtà che i singoli individui vivono nel presente.

La descrizione di Suzanne Collins fa percepire la funzionalizzazione dello spazio, in modo lavorativo, come un’oppressione, quindi, i giochi annuali, si pongono come la necessità, in uno spazio chiuso, di allontanare l’eventualità di un nuovo scontro, di evitare quella che sarà la rivoluzione. Se quanto detto finora, usando un’ottica apocalittica, è inseribile nella realtà i cittadini americani dovrebbero puntare le proprie frecce contro le forze politiche.


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